giovedì 3 novembre 2016

Aquagranda, i pescatori con gli occhi lucidi

«Una data storica, il modo migliore per ricordare la tragedia che ci ha colpito» 
 

Merlettaie, casalinghe, pescatori, dottori, preti, studenti, anche la banda: ieri quasi 600 residenti dell'isola di Pellestrina hanno assistito al teatro La Fenice all’anteprima di “Aquagranda”. Arrivati in motonave erano emozionati. In campo San Fantin, prima della rappresentazione dell’opera, tanti i loro ricordi del 1966: l’acqua esondava, il vento sibilava, il cielo scuro, la paura e tanto coraggio.
Marco Vianello, 50 anni, suona la tromba. «La nostra isola», spiega, «ha vissuto una tragedia. Questo è il modo miglior per ricordarla. Avevo due mesi. La mia famiglia mi ha raccontato che da Venezia arrivarono i rimorchiatori. Ci salvammo con il cambio del vento». «Sono la mamma di due bandiste, Enslenie, 11 anni, e Frehiwot, 13 anni», dice la 45enne Sabrina Doria, «e sono felice. So che mia nonna è scappata via con la gabbia degli uccellini. Il resto l'ha lasciato a casa».
Incancellabili sono i ricordi del signor Tino Bigon, 76 anni, abita al Lido, nel 1966 viveva a Pellestrina. «È una data molto importante», annota l’uomo. «Ero a casa appena arrivato da Suez, ero un navigante. Sono andato nelle scuole che erano in difficoltà, ho visto franare il murazzo e arrivare il ferry boat. In quel momento ho capito la gravità della situazione. Mi sono gettato in acqua perché il mezzo non riusciva a ormeggiare. Gli uomini lanciavano la cima sulle bricole che erano a filo d'acqua. Li ho aiutati prendendo quella cima. Mio padre era all'ospedale per un intervento chirurgico. In casa c’erano mia madre e i miei quattro fratelli più piccoli. Siamo stati i primi a salire. Ero giovane, incosciente ma rifarei tutto. È la mia indole».
Tino Fongher, classe 1940, ha gli occhi lucidi: «È una data memorabile. Pellestrina poteva non esserci più. Avevo paura ma andavo ad aiutare le persone. Ero scalzo. Mio padre, pescatore, mi disse: è la fine del
mondo». Nel 1966 don Damiano Vianello della diocesi di Chioggia non era nato. Oggi accompagnato da don Stefanio Dardelli dice: «Quest’opera ricorda la nostra storia». Poi tutti in teatro. Alla fine gli applausi, la commozione e i commenti: «Sorprendente quella massa d’acqua dentro alla Felice».

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