lunedì 22 ottobre 2012

Addio al Foresto. Raccontò a colori la nostra storia

di Anna Sandri Si dice che vivesse in solitudine e in un altrove anche quando la sua casa e il suo lavoro erano a Milano, e i suoi colori raccontavano la nostra storia brillando dalle copertine della “Domenica del Corriere”. Chi lo conosceva parla di come già allora fosse capace di sparire, agli altri e a se stesso, senza porsi troppi problemi se questo comportava un ritardo insanabile nella consegna di un lavoro, perché si sa che la cronaca non aspetta. Da Milano infine se n’era andato; aveva girato un po’ il mondo, infine era approdato a Pellestrina e lì davvero era riuscito a scomparire. È morto in un modo che suscita pena in chi rimane, ma che è quello che lui voleva e aveva perseguito per la vita; un nome come un altro su una cartella clinica del reparto di geriatria dell’Ospedale di Venezia, nessuna traccia e nessuna commemorazione per giorni e giorni fin quando un amico e collega degli anni giovanili, Viviano Domenici, non racconta -più che una morte, una vita - sulle pagine del “Corriere della Sera”. De Gaspari Giorgio, Milano 1927- Venezia 2012. Dietro quel nome c’è una lunga storia di talento, una lunga vita a suo modo avventurosa, se per avventura si intendono anche tortuosi viaggi dentro se stessi, il coraggio e la coerenza di vivere davvero come si vuole, senza aver mai paura di pentirsi quando è troppo tardi. Giorgio De Gaspari è stato uno dei più grandi illustratori italiani del Novecento; tra gli anni Cinquanta e Sessanta, probabilmente il più grande. Ha firmato numerose copertine per la “Domenica del Corriere”, ispirate a veri fatti di cronaca e ad altri assai ricamati, come allora usava. Lavorava con Dino Buzzati, al quale era legato da amicizia, ma anche per case editrici e per altre riviste, alle quali consegnava tavole che vibravano di colore e di modernità. La decisione di mollare tutto e di andarsene non l’ha mai spiegata. Forse se n’è andato in giro per il mondo per qualche anno, come riportano le più recenti (benché datate e comunque necessariamente stringate) note biografiche che lo riguardano; poi l’approdo a Pellestrina, luogo incantato nel quale puoi vivere bene e isolarti quanto vuoi. Se anche si venisse a sapere dove sei, per gli altri sarebbe un viaggio raggiungerti. Quarant’anni senza contatti con il mondo, meno che mai con le case editrici. Fino a lui era arrivata qualche anno fa la curatrice di una mostra che prevedeva ampio materiale suo: l’aveva invitata ad andarsene senza nemmeno aprire la porta; e alla rassegna di Lucca, lo scorso anno si raccontava di identica sorte toccata a un altro curatore, impegnato a organizzare una personale su di lui. Chi lo conosceva, e l’aveva anzi conosciuto prima che scegliesse un mondo solo suo, dice che vivesse di ritratti ai turisti in Piazza San Marco, quando e se ne aveva voglia, firmati come “el foresto”; perennemente schivo, la matita unico mezzo che avrebbe potuto far riconoscere, dietro il viso scavato di un vecchio, l’uomo di fascino che era stato, e di cui resta scarna documentazione fotografica. Se n’è andato come aveva scelto di vivere: anche la solitudine ha un suo colore.

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