mercoledì 28 luglio 2010

L’anima dell’isola "felice"




La chiamano l’isola felice. Alcuni amici insistono ancora a chiamare così l’isola di Pellestrina, non solo per amabile scherzo.
Sanno per esperienza che “l’isola che c’è” rappresenta un approdo di
pace e un luogo tranquillo di lavoro. Ma sono bastati i dieci minuti
dell’uragano di venerdì 23 luglio per sovvertire l’immagine consueta:
lungo tutto il litorale, tetti scoperchiati, camini strappati, alberi
divelti dalle radici, e perfino lo stendardo della piazza – uno dei
simboli dell’isola – sollevato e abbattuto con il suo basamento. Quasi
un terremoto.

      Mi si è affacciato alla fantasia il paragone con
un’immagine diversa ma in qualche modo complementare, quella
dell’alluvione del 1966 quando il pericolo e la distruzione vennero
dall’acqua e non dal vento. Eppure quel disastro segnò l’inizio di un
grande riscatto.

      Le autorità si presero in cura l’isola e la
recintarono con una robusta protezione dal mare e dalla laguna. Le case
furono risanate e abbellite e tornarono a risaltare con i loro mille
colori, la pesca, la coltivazione dei mitili e il lavoro in generale
ebbero una felice ripresa. A Pellestrina si cominciò a vivere bene e
l’emigrazione dei giovani e delle famiglie venne trattenuta. Chissà se
questo nuovo disastro troverà un riscatto.

      Da qualche tempo
l’economia del paese è in crisi totale. I pescatori non hanno il
permesso di staccarsi da riva. Chi può, quando può, cambia mestiere,
buttandosi spesso in occupazioni inadeguate e precarie. Il glorioso
cantiere De Poli, oggetto di tante contestazioni, ha chiuso mandando a
casa centinaia di operai e mortificando l’ampio indotto. L’isola vive
solo delle albe e dei tramonti, dell’acqua che si rinnova con le
correnti della laguna, dove ancora da mane a sera i ragazzi si buttano a
nuotare dalla riva, come un tempo anche noi dalla scaletta della
piazza. Il turismo – quello che con giusto criterio sarebbe auspicabile
senza deformare l’immagine e il cuore dell’isola – non trova punti di
decollo. Alcuni grandi caseggiati dell’isola, dismessi da varie
istituzioni, non trovano l’uso adeguato. Quale futuro? Qualcuno dice:
«Non vi fosse il santuario, l’isola sarebbe senz’anima». Ma la chiesa
dell’Apparizione, anch’essa scossa dall’anomalo uragano che ne ha
incrinato il portale, c’è. L’anima dell’isola permane. Il prossimo 4
agosto il popolo si ritroverà compatto a celebrare la festa della
Madonna. La fantasia della mente e l’energia del cuore possono risorgere
e rimettere a nuovo le case e le chiese, ricuperare gli spazi del
lavoro e i ritrovi della comunità in calle e sulla riva: se ancora una
volta qualcuno, dal cielo e dalla terra, si affiancherà alla gente
dell’isola, sostenendone la tempra generosa e decisa.

     
      don Angelo Busetto
     
Parroco di Borgo    
      San Giovanni-Chioggia

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