giovedì 28 gennaio 2010

«Tanti ricordi come fosse ieri»


Nella sala, davanti alle autorità, tante storie. Una più affascinante e
tragica dell’altra. Un «universo» di narrazioni, di vite vissute, di
sacrifici, di rievocazioni con un unico comun denominatore: l’8
settembre 1943. Il giorno dell’Armistizio con gli Alleati
anglo-americani, la fine del diabolico patto con Hitler e la Germania
nazista e l’inizio di un altro momento tragico nella storia recente
d’Italia: la "trasformazione" delle truppe italiane da alleate a
nemiche del Terzo Reich. Un "passaggio" che ha segnato il destino di
tanti militari "di terra e di mare" che, un giorno per l’altro,
nonostante tanti eroismi, finirono per essere inghiottiti nel vortice
delle persecuzioni e della "macchina di sterminio" dei lager nazisti.

     
E se lo ricorda bene Fabio Passarella, 88 anni, ("Sono l’unico
panettiere di Pellestrina" dice con orgoglio). «Mi trovavo nell’Egeo
imbarcato in una nave italiana - racconta ancora emozionandosi - E
pochi giorni dopo la firma dell’Armistizio alcuni Stukas tedeschi
iniziarono a bombardare la nostra nave. Mi ricordo come fosse adesso
che presi un mitragliatore e iniziai a sparare tanto che riuscì a
centrare un aereo tedesco. Ma la nostra resistenza fu inutile, fummo
fatti prigioneri e costretti ad approdare in Grecia. E da lì, tra mille
difficoltà, stenti e sporcizia, insieme ad altri italiani fummo
trasferiti a Mauthausen in Austria, uno dei peggiori campi di sterminio
dei nazisti. E qui, lavorando come uno schiavo, costretto a subire
mille angherie, sono rimasto dal 1943 al 1945, quando è finita la
guerra. Ma le mie disavventure non erano concluse lì. Dopo il lager
fuggii per raggiungere l’Italia e lo feci passando per la Slovenia,
allora Jugoslavia. Ma qui venni arrestato dai partigiani di Tito che
schiaffarono in prigione a Lubiana. Ci sono stato per due mesi! Poi,
per fortuna sono riuscito ad arrivare in Italia. Quando sono arrivato a
Venezia pesavo 27 chili!».

      Poco più in là si avvicina la
figlia di Cosmo Rinello, soldato di Zelarino, finito nel campo di
lavoro di Gladbeck e consegna a tutti il "Diario" di suo padre raccolto
in un bel volumetto. E anche Dino Crosara, classe 1923 mostra la
"piastrina" di prigioniero: "Stalag 17/b matricola 95758. «Ho lavorato
in una miniera di antimonio, io - dice ricordando quel periodo mentre
si avvicinano anche i parenti di un altro "soldato" Renato Balliana - e
poi anche in una fabbrica meccanica».


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