venerdì 16 novembre 2007

Ecco perchè il Tar deve fermare il Mose



Il ricorso al Tar del Veneto contro i cantieri del Mose a Pellestrina
è pronto. Il Comune lo sta notificando in questi giorni a tutte le
parti interessate: oltre alla Commissione di salvaguardia e alla
Regione, il Magistrato alle acque, il Consorzio Venezia Nuova, i
ministeri alle Infrastrutture e all'Ambiente. Un malloppo da una
cinquantina di pagine - a firma del professor Federico Sorrentino e
degli avvocati Nicolò Paoletti e Giulio Gidoni - che si chiude con la
richiesta di sospensiva della delibera del 31 luglio scorso con cui la
Commissione di salvaguardia diede il via libera al contestato cantiere
sorto sulla spiaggia di Santa Maria del Mare. E il Tar, ancora prima di
entrare nel merito, dovrà esaminare innanzitutto quest'istanza (in
genere l'udienza viene fissata nel giro di una decina di giorni). Ma su
che cosa si fonda il nuovo ricorso al Tar? Tanti gli argomenti noti:
l'autorizzazione paesaggistica contestata, l'illegittimità di un parere
che di fatto è una sanatoria, la mancanza di una Via statale (c'è solo
quella regionale). I legali del Comune, poi, sollevano anche
un'eccezione di costituzionalità perché la norma attuale non prevede il
potere di veto per il rappresentante in commissione del ministero
dell'Ambiente.

Tutto,
ovviamente, ruota attorno a questo enorme cantiere le cui dimensione
vengono ribadite, a più riprese, nel ricorso: 15 ettari di estensione
per una «piattaforma situata sopra la spiaggia e costituita da una
sovrastruttura (alta 2,60 metri, con bordi alti 3 metri) che si
protende in mare per altri 450 metri, con ulteriore struttura in
avanzamento verso il mare per l'alaggio dei cassoni di circa 200
metri», dove per realizzare i cassoni «ci sarà un movimento di
materiali pari a un milione di metri cubi». Ebbene, per quest'opera che
inizialmente doveva sorgere altrove (Cagliari, Ravenna o Brindisi) e
realizzata invece in un'area soggetta a plurimi vincoli come Pellestrina
non c'è stata una «preventiva autorizzazione paesaggistica». Il via
libera della salvaguardia, in particolare, è arrivato a lavori già
ampiamente realizzati: una sorta di "sanatoria" espressamente vietata -
sottolinea il ricorso - in materia paesaggistica dal Codice dei beni
culturali. Così la commissione non ha nemmeno potuto esaminare i dati
tecnici sull'area prima dell'intervento. Il ricorso, a questo
proposito, cita vari stralci della seduta: la battuta del
rappresentante dell'ambiente, Stefano Boato ("Manca la relazione
paesaggistica, la chiediamo perfino per altane e finestre"); ma
soprattutto alcune dichiarazioni della soprintendente Renata Codello
("Non possiamo avere la sfera di cristallo per dire con certezza oggi
se quei luoghi torneranno a essere paesaggisticamente e
morfologicamente analoghi a quelli liberi", "Non possiamo fare un
processo né ai fatti, né ai tempi, né ai materiali, perché nessuno di
noi sa di preciso quale sia il modo di smaltirli, il modo di smontarli,
cosa resti sotto"). Per il Comune «è evidente la gravità di tali
affermazioni»: «in definitiva la commissione ha autorizzato un cantiere
sulla fiducia, ossia facendo affidamento sull'impegno del Consorzio
Venezia Nuova di ripristinare lo stato dei luoghi, non avendo però
accertato né l'effettiva possibilità di tale operazione, né le
modalità, né i tempi».

Ma
il ricorso ipotizza anche altre violazioni: per la composizione della
commissione di quel 31 luglio a cui parteciparono 3 rappresentanti
della Soprintendenza (anziché 2 o 1) e 2 delle Ulss (anziché 1); per la
mancata Via statale per un'opera contro cui si era espresso sia il
ministero dell'ambiente che la commissione europea (per le direttive
Habitat e Uccelli). Infine c'è la questione dell'illegittimità
costituzionale di una commissione in cui rappresentante del ministero
dell'ambiente (che sul Mose votò contro) non ha il potere di veto per
le materie di propria competenza, a differenza di soprintendenza, Ulss,
vigili del fuoco (che votarono a favore). Su questo i legali del Comune
chiedono che si esprimi la Consulta. Ma la decisione spetta al Tar.

Roberta Brunetti

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